Ripresa post-COVID: adozione di un approccio condiviso al reshoring
Sebbene si stia cercando di tornare progressivamente alla normalità, mentre il conteggio dei nuovi casi di COVID-19 si stia lentamente riducendo in diversi Paesi, grazie alle campagne di vaccinazione, le interruzioni e i rallentamenti nelle catene di approvvigionamento continuano a persistere.
La pandemia Covid-19 ha rivelato la fragilità e la vulnerabilità della supply chain. Gli ostacoli originariamente causati dalla chiusura degli stabilimenti e dalla limitazione della forza lavoro sono continuati nella seconda metà del 2020 e nel primo trimestre del 2021. Ad esempio, la ridotta disponibilità di container vuoti in Asia e colli di bottiglia nei porti USA e del Regno Unito hanno provocato un altro effetto a cascata sui costi del trasporto, che si scaricano sugli spedizionieri e sulle imprese.
A causa dei supplementi e di altre commissioni, più o meno nascoste, la tariffa effettiva che imprese e spedizionieri pagano ai vettori è raddoppiata negli ultimi 12 mesi, secondo lo Shanghai Containerized Freight Index (SCFI).
Nel frattempo, la schedule integrity dei servizi deep sea è scesa al livello più basso mai registrato, secondo Sea Intelligence Consulting. Nel dicembre 2020, solo il 44,5% delle navi è arrivato in tempo, una diminuzione del 31,7% rispetto allo stesso periodo del 2019. Questi ritardi possono danneggiare in modo significativo le catene di approvvigionamento, le attività produttive e distributive fino ad arrivare ad intaccare le vendite e il fatturato di molte aziende.
Le perdite nella supply chain sono spesso sottostimate
Sebbene il COVID-19 possa essere considerato un evento anomalo e straordinario (un cosiddetto “cigno nero”), le aziende devono anticipare e gestire le interruzioni distruttive della propria supply chain della durata di un mese o più che, in base a un sondaggio condotto dal McKinsey Global Institute, possono verificarsi in media una volta ogni 3,7 anni.
A seconda del danno e della frequenza dell’interruzione, si stima che in media il 44% dei profitti annuali di un’azienda nel corso di un decennio possa essere cancellata da questi eventi anomali. Nonostante queste premesse, il 54% dei dirigenti afferma di non avere piena visibilità sulla propria catena di approvvigionamento, al di la dei fornitori di primo livello. A maggio 2020, nel pieno della prima ondata COVID uno schiacciante 93% ha riferito che prevede di adottare misure più incisive, per rendere la propria supply chain più resiliente.
Riequilibrare la catena del valore globale
Sebbene nell’ultimo decennio si sia parlato di riportare la produzione nel continente per motivi di competitività e sicurezza, difficoltà e ostacoli hanno puntualmente impedito che ciò avvenisse su larga scala.
Nell’ultimo decennio, l’Europa ha cercato di riportare la produzione nel continente per rilanciare l’economia dell’Unione, stimolare l’ occupazione interna e ridurre al minimo le minacce alla sicurezza nazionale. Tuttavia, appena 76 aziende sono effettivamente tornate in Europa dalla Cina tra il 2014 e il 2018, secondo il progetto Europe Reshoring Monitor.
Durante le prime fasi della diffusione della pandemia, la percezione diffusa, nel mondo degli affari, è stata che l’interruzione della catena di approvvigionamento indotta dalla pandemia avrebbe potuto essere una forza trainante per il reshoring. Nella prima metà del 2020, i governi di Paesi come il Giappone e Stati Uniti hanno lanciato pacchetti di stimolo per incoraggiare il reshoring.
Solo nel gennaio 2021, il nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo per rivedere le catene di approvvigionamento a livello globale dei chip per computer utilizzati nei prodotti di consumo, delle batterie di grande capacità per veicoli elettrici, dei prodotti farmaceutici e dei loro principi attivi e dei minerali strategici utilizzati nell’elettronica.
Tuttavia, l’integrazione spinta delle supply chain, la carenza di forza lavoro specializzata e il livello della domanda aggregata espressa dal mercato interno, hanno reso impossibile un distacco completo dalla Cina.
Secondo un sondaggio condotto dalla Camera di Commercio europea, solo l’11% delle aziende europee prevede di spostare le proprie attività produttive fuori dalla Cina, mentre il 12% prevede di diversificare la propria supply chain cercando fornitori anche al di fuori della Cina. È significativo che, sebbene il COVID abbia influenzato il processo decisionale aziendale, solo il 4% degli intervistati stia considerando seriamente di lasciare la Cina, a causa della pandemia.
Il reshoring reso possibile dalle nuove tecnologie: l’automazione della produzione
È probabile che, data l’adozione notevolmente accelerata della tecnologia e della digitalizzazione da parte delle aziende globali, a causa della pandemia, le soluzioni per risolvere gli ostacoli al reshoring vengano adottate rapidamente, rispetto al periodo pre-pandemia.
Secondo l’International Federation of Robotics, per soddisfare la normativa in termini di distanziamento, molte aziende hanno intensificato uso della robotica e di altre tecnologie in grado di mantenere alta produttività, impiegando una forza lavoro limitata e, probabilmente, la diffusione delle cosiddette smart factories continuerà.
Secondo il rapporto sugli investimenti mondiali UNCTAD 2020, il reshoring in Europa sarebbe più adatto alle aziende high-tech con una catena di approvvigionamento globale profondamente integrata e requisiti di automazione nella produzione. Nel settore manifatturiero, si ritiene che la digitalizzazione possa ridurre il costo del lavoro, portando a ricollocare alcune attività manifatturiere e a creare nuovi posti di lavoro nelle economie emergenti a reddito più elevato.
Tecnologia della supply chain
In un contesto di mercato estremamente fluido, le società di logistica stanno consolidando la propria resilienza anche facendo leva sull’Information Technology (cloud, innovazione digitale, Internet of Things e Big Data). In un sistema caratterizzato da flussi di materie prime e semilavorati sempre più complessi ed intrecciati, l’Information Technology e l’analisi dei dati svolgono un ruolo fondamentale per aumentare la visibilità della logistica, razionalizzare il processo di approvvigionamento e la gestione delle scorte e migliorare il processo di evasione degli ordini.
Ad esempio, l’utilizzo di sistemi basati sulla blockchain consente di tracciare e retribuire in sicurezza i partner coinvolti nella supply chain, nel momento stesso in cui vengono completate le attività di loro responsabilità. Strumenti avanzati di analisi dei dati consentono alle aziende di identificare le anomalie nella catena di approvvigionamento come i ritardi e i colli di bottiglia. Le soluzioni basate sull’ intelligenza artificiale consentono la pianificazione e la previsione di diversi scenari operativi, permettendo alle aziende di ottimizzare e consolidare il network di fornitori e di adattare in maniera dinamica i processi produttivi.
Il percorso da seguire: un approccio alla ripresa economica che non lasci nessuno indietro
L’aumento dell’adozione della tecnologia solleva preoccupazioni per il mercato del lavoro: uno dei maggiori timori è che gli strumenti di intelligenza artificiale, l’automazione e i nuovi modelli di business basati su queste tecnologie portino via posti di lavoro, anche se le fabbriche dovessero essere rilocalizzate. Secondo Eurostat, la disoccupazione in tutta l’Unione Europea è salita al 7,5% a dicembre 2020, con il tasso di disoccupazione giovanile che sfiora il 18%.
In un contesto simile, è fondamentale che il settore pubblico e quello privato lavorino insieme per garantire che tutti i lavoratori e le imprese sane riescano a tenere il passo con questa trasformazione.
Nel novembre 2020, l’UE ha lanciato ufficialmente il Patto per le competenze, invitando l’industria, i datori di lavoro, le parti sociali, le Camere di Commercio, le autorità pubbliche, i fornitori di istruzione e formazione e le agenzie per l’impiego a collaborare e impegnarsi chiaramente attraverso investimenti sostanziali in formazione, per migliorare le competenze (aggiornamento delle competenze) e crearne di nuove (riqualificazione) per tutte le persone in età lavorativa.
Le iniziative nell’ambito del Patto, tra cui il Fondo sociale europeo Plus (FSE +) e il Fondo per una giusta transizione (JTF), dovrebbero concentrare 2 miliardi di Euro di investimenti pubblici e privati, per formare oltre 250.000 lavoratori e studenti nel settore dell’elettronica, a livello europeo.
Il partenariato ‘Made in Europe’ sta anche assumendo un ruolo guida nella transizione della produzione, richiamando ad un’adeguata considerazione del benessere dei lavoratori e della società nel suo insieme. Il rispetto di questi principi richiederà un’ulteriore trasformazione digitale dell’industria manifatturiera, ed incoraggerà la collaborazione uomo-macchina, promuovendo una digitalizzazione che mantenga al centro il benessere degli individui e della collettività.
Per raggiungere i suoi obiettivi entro il 2026 e per dotare i lavoratori di competenze tecnologiche più elevate, l’EIT Manufacturing si impegna anche a istruire, formare e riqualificare 50.000 persone.
Ricostruire la resilienza delle catena di approvvigionamento e della forza lavoro
In un contesto sfidante ed in continua trasformazione, il Gruppo Contship Italia mantiene saldo l’impegno a fare la propria parte, contribuendo alla resilienza della supply chain, attraverso investimenti e innovazioni della propria rete di servizi terminalistici ed intermodali, con l’obiettivo di offrire ai vettori, agli spedizionieri e alle aziende servizi logistici di qualità, fondamentali per mantenere alta l’efficienza e la sostenibilità dei collegamenti tra i mercati di produzione e di consumo.