Regionalizzazione del commercio e implicazioni per la supply chain

Negli ultimi vent’anni, la Cina è diventata il principale centro manifatturiero dell’Asia, e la sua quota di mercato, in alcuni settori, ha superato il 50%.

Negli ultimi anni, la crescita dei costi operativi e della manodopera, insieme all’instabilità degli equilibri mondiali e a tensioni crescenti tra Cina e Stati Uniti, ha spinto i produttori a pensare di modificare gli assetti produttivi per ridurre la dipendenza dalla seconda economia mondiale.

Queste ambizioni sono perlopiù rimaste sulla carta, fino allo scoppio dell’emergenza COVID-19, che ha avuto un forte impatto su diversi segmenti della supply chain. Mentre la Cina entrava in lockdown, per contenere l’epidemia, diversi Paesi hanno dovuto affrontare l’improvvisa interruzione di approvvigionamenti strategici, che spesso includevano componenti vitali per la produzione domestica.

Secondo l’Intelligence Unit dell’ Economist (EIU), la crisi COVID-19 e il conseguente shock sulla supply chain accelererà il processo di transizione verso supply chain regionali, che vedranno molte aziende rilocalizzare parti della propria produzione fuori dalla Cina, per cercare di aumentare la resilienza della propria catena di approvvigionamento.

Le tensioni geopolitiche sono divenute un ulteriore elemento catalizzatore dei processi di onshoring. Molti governi offrono oggi incentivi al fine di convincere le imprese a lasciare la Cina e diversificare la propria supply chain, oltre che di creare nuovi posti di lavoro in patria.

In Aprile, il Giappone ha destinato un pacchetto di misure da 2,2 miliardi di dollari per incoraggiare le aziende manifatturiere a rilocalizzare la produzione al di fuori della Cina. Contemporaneamente, negli Stati Uniti, si discute di un “reshoring fund” da 25 miliardi di dollari, secondo un report di Reuters, che cita incentivi fiscali e sussidi.

Allo stesso tempo, la Cina cerca di promuovere il suo ruolo di centro della produzione mondiale, concentrandosi sullo sviluppo di infrastrutture dedicate a produzioni high-tech.

E’ davvero possibile diversificare la produzione?

Tra i diversi settori industriali, la via della diversificazione della produzione è più facile da percorrere per le aziende attive in settori low-tech: diversi produttori di abbigliamento, ad esempio, hanno da tempo lasciato la Cina per il Vietnam, la Cambogia e l’Etiopia.

Il settore dell’elettronica di consumo sconta un grado di dipendenza assai maggiore rispetto alle infrastrutture, alla forza lavoro qualificata e all’enorme mercato interno che la Cina è in grado di offrire. Per le aziende tecnologiche è quindi più difficile diversificare efficacemente, considerando che, anche qualora esse dovessero spostare la produzione, probabilmente si troverebbero a dover fare affidamento su un gran numero di componenti che continuerebbero ad essere prodotti in Cina.

Le aziende che scelgono di diversificare devono poi affrontare una decisione difficile: dove andare? I produttori devono considerare il costo della manodopera, ma anche le infrastrutture, il rischio-paese, le dimensioni del mercato e la reazione dei consumatori. Ad esempio, le vendite delle succursali ancora presenti in Cina potrebbero subire contrazioni, se i consumatori locali dovessero rispondere negativamente al trasferimento delle fabbriche, mentre una rilocalizzazione in Paesi meno affidabili, dal punto di vista infrastrutturale potrebbe generare maggiori costi per i viaggi o per il trasporto dei prodotti.

Anche il prezzo del carburante va tenuto sotto controllo. Quest’anno i prezzi sono crollati, a causa della crisi COVID-19, ma PwC ha cercato di dimostrare, già nel 2012, come la crescita del prezzo del carburante renda le supply chain più lunghe meno competitive, rendendo le produzioni locali più convenienti.

Considerando tutti i fattori in gioco, l’impatto di onshoring e reshoring sul commercio globale potrebbe essere meno significativo del previsto. Secondo IHS Markit, a maggio, dopo il primo lockdown, appena le fabbriche cinesi hanno riaperto, la quota degli import asiatici degli USA provenienti dalla Cina è salita ai livelli più alti dei precedenti otto mesi, toccando il 64,8%.

Gli analisti di IHS Markit suggeriscono che gli importatori statunitensi potrebbero impiegare anni per spostare una parte rilevante della produzione fuori dalla Cina e dagli altri Paesi asiatici. Secondo KPMG, la Cina potrebbe perdere alcune produzioni, a vantaggio di realtà caratterizzate da minori costi, come il Vietnam, ma grazie ai suoi operai qualificati, alle infrastrutture, alla stabilità sociale e alla capacità di accettare commesse di alto livello, resterà un’importante polo manifatturiero.

Costruire soluzioni flessibili per la supply chain

Per le aziende che vogliono ridurre i rischi, mantenendo la produzione in Cina, e per le aziende che scelgono di rilocalizzarla, i fornitori di servizi logistici integrati, come il Gruppo Contship Italia, possono essere preziosi alleati.

Per le imprese che hanno iniziato a riposizionarsi in altri Paesi emergenti, gli hub Contship offrono accesso a network globali e servizi da e verso Paesi come l’India, il Pakistan, oppure (via transhipment) l’Indonesia, la Malesia e il Vietnam.

Per le imprese che scelgono di mantenere ed espandere la propria capacità produttiva in Cina, Contship offre la possibilità di diversificare le modalità di trasporto, scegliendo tra nave e treno, a seconda delle necessità operative o delle logiche di riduzione del rischio. Diverse opzioni permettono oggi il trasporto combinato tra Cina e Italia, incluso il nuovo servizio intermodale Xian-Melzo, caratterizzato da un transit time di 14 giorni.

Allo stesso tempo, in Europa, il network intermodale Contship può aiutare gli operatori a ridurre i rischi legati all’uso eccessivo della modalità stradale, più sensibile agli shock legati ad eventi inattesi. Un esempio in questo senso, è stato dato dai disagi sulla rete autostradale ligure, dovuti ai lavori di manutenzione e monitoraggio delle infrastrutture regionali, che hanno paralizzato l’autotrasporto da e verso Genova, primo gateway italiano per l’import/export di merci containerizzate.

Per ridurre le conseguenze della congestione autostradale, Hannibal, operatore per il trasporto multimodale (MTO) del Gruppo Contship, ha promosso l’utilizzo del trasporto intermodale, attraverso i servizi che collegano quotidianamente Genova, La Spezia e Ravenna con RHM, a Milano-Melzo, ma anche con l’interporto di Padova e il terminal intermodale di Dinazzano (RE).

A supporto dei traffici intermodali tra Genova e la Lombardia, un nuovo Fast Corridor, attivo tra Genova e Milano-Melzo, sarà disponibile a partire dalla fine dell’estate 2020.